La questione delle rivalutazioni delle pensioni arriva alla Corte Costituzionale: i pensionati attendono un possibile incremento, ma il futuro potrebbe riservare sorprese
La problematica riguardante la rivalutazione delle pensioni è giunta al vaglio della Corte Costituzionale. I pensionati di tutta Italia si interrogano sulla possibilità di un incremento degli assegni pensionistici, ma il futuro potrebbe riservare sorprese inaspettate.
Il blocco della rivalutazione per gli assegni pensionistici superiori a quattro volte il minimo pensionistico (circa 2.395 euro quest’anno) è stato portato all’attenzione della Corte Costituzionale. La decisione che verrà presa potrebbe avere un impatto significativo sulle finanze pubbliche e sulla vita di molti pensionati, poiché i risparmi previsti dal governo Meloni grazie alla riduzione della rivalutazione tra il 2023 e il 2024 ammontano a circa 6 miliardi di euro, con una stima che entro il 2032 raggiungerà i 36 miliardi di euro.
La Corte Costituzionale non è nuova a casi simili, poiché in passato diversi governi hanno fatto ricorso alla sospensione o alla riduzione della rivalutazione delle pensioni per recuperare fondi destinati a coprire altre spese pubbliche o per esigenze di bilancio. Tuttavia, l’esperienza passata potrebbe fornire indicazioni su come la Corte potrebbe pronunciarsi in questa occasione. Nel caso in cui i giudici costituzionali dovessero bocciare le attuali misure, si potrebbe aprire una nuova fase per le pensioni, con possibili modifiche alle politiche pensionistiche e alle previsioni di spesa pubblica.
Perché si discute della rivalutazione delle pensioni?
La rivalutazione delle pensioni è il processo attraverso il quale gli assegni pensionistici vengono aggiornati annualmente per tenere conto dell’inflazione registrata dall’Istat. Questo meccanismo, noto anche come perequazione automatica, è stabilito dalla legge n. 448 del 1998, che prevede un adeguamento al 100% dell’inflazione per le pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo. Per le fasce pensionistiche superiori, la rivalutazione è ridotta al 90% e al 75% per gli importi più elevati, al fine di garantire un sistema più equo e sostenibile.
Questo sistema mira a mantenere il potere d’acquisto dei pensionati, assicurando che gli assegni pensionistici non perdano valore a causa dell’aumento del costo della vita. Tuttavia, negli ultimi anni, queste regole sono state applicate raramente, con diverse modifiche introdotte dai vari governi in carica.
Nel 2022, sotto il governo Draghi, si è assistito a un ritorno all’applicazione delle regole originali, con un adeguamento pieno per le fasce più basse e riduzioni graduali per quelle più alte. Successivamente, con l’aumento dell’inflazione dovuto a fattori economici nazionali e internazionali, il governo Meloni ha introdotto un nuovo sistema di sei fasce, che ha modificato ulteriormente il meccanismo di rivalutazione.
Questo nuovo sistema penalizza le pensioni superiori a quattro volte il minimo, riducendo la rivalutazione sull’intero importo dell’assegno pensionistico e non solo sulla parte eccedente tale soglia. Ciò significa che i pensionati con assegni più alti ricevono un incremento minore rispetto all’inflazione effettiva, con una conseguente perdita di potere d’acquisto.
Le attuali fasce di rivalutazione
Il sistema di rivalutazione delle pensioni attualmente in vigore è articolato in sei fasce, ciascuna con una percentuale di adeguamento differente:
- Fino a 4 volte il trattamento minimo: rivalutazione del 100% dell’inflazione.
- Oltre 4 e fino a 5 volte il minimo: rivalutazione dell’85% dell’inflazione.
- Oltre 5 e fino a 6 volte il minimo: rivalutazione del 53% dell’inflazione.
- Oltre 6 e fino a 8 volte il minimo: rivalutazione del 47% dell’inflazione.
- Oltre 8 e fino a 10 volte il minimo: rivalutazione del 37% dell’inflazione.
- Oltre 10 volte il minimo: rivalutazione del 22% dell’inflazione.
Per fare un esempio pratico, un pensionato che percepisce un assegno pari a 6 volte il minimo pensionistico vedrà la sua pensione rivalutata solo del 47% dell’inflazione registrata, applicata sull’intero importo della pensione. Questo comporta una riduzione significativa rispetto al sistema precedente, dove la riduzione si applicava solo sulla parte eccedente le quattro volte il minimo.
Il ricorso alla Corte Costituzionale
Questo nuovo sistema di rivalutazione ha spinto un ex dirigente scolastico a presentare un ricorso presso la Corte dei Conti della Toscana. Il ricorrente sostiene che la riduzione della rivalutazione rappresenti una misura ingiusta e discriminatoria, che penalizza i pensionati con assegni più alti non solo dal punto di vista economico, ma anche morale.
La Corte dei Conti ha ritenuto fondate le argomentazioni presentate e ha deciso di rimandare la questione alla Corte Costituzionale, sollevando una questione di legittimità costituzionale. Secondo la magistratura contabile, queste misure trattano le pensioni più alte come un “privilegio sacrificabile”, compromettendo il principio di proporzionalità e potenzialmente violando i principi costituzionali di uguaglianza e non discriminazione.
La decisione della Corte Costituzionale sarà dunque fondamentale per stabilire se le misure adottate dal governo siano conformi alla Costituzione e se sia necessario apportare modifiche al sistema attuale.
Quali scenari si aprono?
La possibilità che la Corte Costituzionale decida di ripristinare il vecchio sistema di rivalutazione per gli anni 2023 e 2024 appare improbabile, principalmente a causa delle importanti implicazioni finanziarie. Un tale ripristino comporterebbe una spesa aggiuntiva di oltre 6 miliardi di euro, mettendo a rischio i conti pubblici e la sostenibilità finanziaria del Paese. Storicamente, la Corte non ha mai ordinato il recupero delle somme perse dai pensionati a causa del blocco della rivalutazione, preferendo soluzioni che non compromettano l’equilibrio di bilancio.
Tuttavia, una pronuncia della Corte potrebbe avere un impatto significativo sulle politiche future del governo in materia pensionistica. Ad esempio, nella sentenza n. 234 del 2020, la Corte ha stabilito che il legislatore ha la facoltà di modificare le regole di rivalutazione per le pensioni più alte, a condizione che tali misure siano temporanee e non si protraggano per più di tre anni.
Con il blocco o la riduzione della rivalutazione in atto da diversi anni, la Corte potrebbe ritenere che il limite temporale sia stato superato, obbligando il governo Meloni a rivedere i piani per il 2025. Attualmente, i piani del governo prevedono un’ulteriore riduzione della perequazione per le pensioni superiori a quattro volte il minimo, ma una decisione contraria della Corte potrebbe costringerlo a ripristinare il sistema precedente o a trovare soluzioni alternative che rispettino i principi costituzionali.
In conclusione, la decisione della Corte Costituzionale potrebbe aprire nuovi scenari nel panorama pensionistico italiano, influenzando non solo i pensionati direttamente interessati, ma anche le future politiche governative in materia di welfare e spesa pubblica. I pensionati e le loro associazioni attendono con attenzione l’esito della pronuncia, sperando in una soluzione che tuteli i loro diritti e il loro potere d’acquisto.