La prospettiva di dover attendere i 70 anni per accedere alla pensione non riguarda tutti i lavoratori allo stesso modo. I più esposti a questo scenario sono coloro che, per diverse ragioni, non hanno maturato un numero sufficiente di anni di contribuzione.
Secondo le norme attuali, per ottenere la pensione di vecchiaia servono almeno 20 anni di versamenti e un’età anagrafica di 67 anni. Ma con le nuove riforme, questo equilibrio potrebbe spostarsi ulteriormente, penalizzando chi ha avuto carriere discontinue o è entrato tardi nel mondo del lavoro.
Professioni più colpite
In particolare, i lavoratori impegnati in settori ad alta usura fisica e psicologica potrebbero soffrire maggiormente per l’eventuale prolungamento dell’attività lavorativa. Pensiamo agli operatori sanitari, agli edili, agli addetti alla manutenzione stradale o a chi lavora nei servizi pubblici essenziali. Per loro, arrivare a 70 anni in servizio potrebbe risultare estremamente gravoso, se non impossibile.
I sindacati sono già sul piede di guerra, chiedendo che il governo introduca misure di flessibilità in uscita per chi svolge lavori considerati usuranti. Secondo le sigle sindacali, è impensabile applicare lo stesso parametro anagrafico a professioni tanto diverse, senza considerare le conseguenze sulla salute e sulla qualità della vita.
Il ruolo della previdenza complementare
Un’altra strada che il governo sta promuovendo è quella della previdenza complementare, ovvero forme di risparmio pensionistico aggiuntivo rispetto alla pensione pubblica. Sebbene questa opzione offra una certa sicurezza in più, non tutti possono permettersela. Molti lavoratori precari o con redditi bassi non hanno la possibilità concreta di accantonare fondi per il futuro. Servirebbero quindi politiche di incentivazione e educazione finanziaria, per rendere questo strumento più accessibile.
Il rischio maggiore è che si crei un sistema a doppia velocità, dove solo una parte dei cittadini può garantirsi una vecchiaia dignitosa. Per evitare questa deriva, è indispensabile che la riforma tenga conto non solo delle esigenze del bilancio statale, ma anche della giustizia sociale. La sfida è enorme: rendere il sistema pensionistico sostenibile senza sacrificare la dignità di chi lavora.